A Firenze c’era più sole, qui, ad Asciano, le nuvole sfrecciano veloci.
Vado a pranzo dalla nonna Ina e glielo dico.
La casa profuma di pomodori e ciccia ai ferri.
“Alberta! Siediti! Giusta, giusta come sempre!”
Le lasagne di nonna sono cariche e potenti di farcitura.
“Amore, ci siamo? Solo un giorno alla laurea! Cesare, ma ci pensi? La prima nipote laureata, da avvocato!”
Vorrei dirle tutto, subito, ma le parole si bloccano in bocca, infuocate di vergogna e di pasta troppo calda.
Nonna non sarò mai avvocato, a me piace Raffaello.
Lei, classe 1928, ha visto la guerra e la ricostruzione, ed io, invece?
“Sta storia non te l’ho mica raccontata: lo sapevi che sono stata in collegio? Il mi babbo, al tempo, s’era intestardito di volermi far suonare il piano. A me, non mi garbava mica!”
Nonno Cesare la scruta: non capisco mai se ci sia ancora mentalmente con noi. A volte, i suoi occhi si fanno vitrei, come se riuscisse a trapassarti. Il nonno è molto vecchio, ci penso spesso.
“Si presenta in collegio per fa’ una sorpresa e mi chiede di fargli sentire, ma io non avevo preso neanche una lezione. Ho chiamato Ada, la mia amica. Al babbo dissi di restare fuori, che i professori non davano il permesso di stare nelle aule e lui poverino ci cascò. Si mise fuori alla seggiola bellino, si sentiva la mia musica, ma la suonava Ada! Non mi ha mai scoperta!”
“Ah, complimenti…”
“Le nonne hanno poteri magici: capiscono che c’è puzza anche quando non è ancora bruciato!”
“Quindi…tu, lo sai?”
“Cosa, tesoro?”